DA "GATELAND"
V Il Lupo e il Giaguaro
Quella notte fu parecchio tormentata. Ogniqualvolta mi addormentavo mi risvegliavo dopo nemmeno un'ora, madido di sudore ed intirizzito per il freddo. Il mattino seguente, Maddie sostenne anche che, durante il sonno, pronunciai più volte la parola megaliti ed altri termini invece incomprensibili, legati forse a lingue o dialetti stranieri. Di tutto ciò io non ricordavo proprio nulla. Sapevo solo che al quarto tentativo riuscii ad addormentarmi fino a mattina. Sognai.
Non mi capitava spesso di sognare, né di avere un sonno tormentato, perciò non faticai molto ad annotare ogni partico-lare della mia attività onirica e già questo poteva essere motivo per rammentare quella notte. Eppure c’era anche dell’altro. Nel mio sogno le immagini che mi si presentavano davanti avevano forme sempre mutevoli, pur se riconoscibili.
Ricordavo con precisione di trovarmi lanciato in una folle corsa sul manto erboso di un vasto altopiano nella penombra delle prime ore della sera. La luce appariva e scompariva velocemente, il panorama cambiava forma improvvisamente e faceva sembrare tutto ciò che pensavo di vedere come una folle danza. Io corsi incurante della fatica e dei dolori muscolari finché ciò che era, con ogni probabilità, un altopiano su-damericano comparabile a quello di una cartolina turistica si trasformò in qualcos’altro.
Anche per effetto del tramonto inoltrato, il paesaggio attorno a me iniziò a cambiare ed io ad avere sempre meno punti di ri-ferimento. Non appena scorsi, in lontananza, degli alberi di una foresta secolare, leggermente rischiarati da riflessi di un ba-gliore rossastro, mi fermai per riposare alcuni istanti vicino ad un albero. Alzai la mano sinistra e la appoggiai sulla spessa corteccia che avvolgeva, come in un appassionante abbraccio, il suo tronco.
Mi guardai intorno e notai da dove aveva origine il colore rosso che si rifletteva in gocce d’acqua che il fogliame aveva trattenuto da una recente pioggia. Aggrottai le sopracciglia. Misi a fuoco l’immagine. Un piccolo barlume di luce, in lontananza, si faceva strada tra le foglie ed i rami come un dardo scoccato da un arco fende l'aria fino a raggiungere il suo bersaglio. Mi invitava a raggiungerlo. Curiosità o istinto che fosse a spingermi, mi avviai in quella direzione.
Una voce serena e suadente invocò il mio nome. Nathan. Oh, Nathan. Finalmente sono riuscito a raggiungerti. Vieni, vieni da me disse lo sconosciuto con voce commossa. Senza saperne il motivo seguii la luce e la voce sino a raggiungere una piccola radura, appena rischiarata e scaldata dal tepore di un fuoco di bivacco. Seduto, accosciato davanti ad esso vi era un uomo quasi completamente coperto dalla pelliccia di un lu-po, tanto che non riuscii a distinguerne i lineamenti del viso.
Sul suo collo penzolava una piccola sacca di cuoio con ap-puntata la pelle di un piccolo animale dei boschi, credo si trattasse di un roditore, e un rostro, forse il becco di un’aquila, che spuntava come un corno dal lato sinistro della testa di lupo. Il fisico era esile e l'altezza modesta. In terra alla sua destra, a portata di mano, vi era una lancia algonchina ornata di seta, cuoio e piume variopinte. Alla sua sinistra, invece, uno strano tamburo, anch’esso ornato di piume e pitture varie. Al centro di esso, sopra il cuoio di cui era formato, vi erano ciottoli e piccole ossa.
Siediti, giaguaro... disse alzando lo sguardo e fu solo allora che notai il suo viso e il mio vestito. L'uomo aveva un piccolo viso rotondo, capelli corti e neri, due occhi a mandorla e dei lineamenti che ricordavano quelli di un pellerossa o di un asiatico. Sforzandomi di vederne meglio la figura, notai che si trattava del vecchio che per le strade di Chicago mi avvertì che John Littletrees non era morto. Maggiore stupore provai nel vedere che dalla mia fronte, a risalire il capo per poi scendere fino oltre ai fianchi, vi era una pelle di giaguaro e a tracolla la mia splendente katana con impugnatura raffigurante un cobra.
Chi sei? chiesi rivolgendomi verso l'uomo con la pelle di lupo.
Non lo hai ancora indovinato, giaguaro? Rispose enig-matico il vecchio scuotendo la testa.
John Littletrees… risposi quasi senza pensarci.
Bene. Io sono lui e come vedi non sono morto. Non ti far trarre in inganno dal fatto che mi stai vedendo in sogno. Mor-morò il vecchio.
John Littletrees, sciamano lupo, fiero ed instancabile spirito guida del popolo Algonquin è vivo e vegeto. Quella notte morì un altro fratello rosso, il quale venne scambiato per me. Disse con la voce rotta per la commozione.
Perché? Chi ti voleva morto? Incalzai.
Sei veloce e freddo come l'animale di cui porti il nome, Nathan. Replicò il pellerossa con gli occhi illuminati.
Si, sembra difficile a credersi. Che un vecchio e pacifico uomo come me possa avere un nemico che voglia strappargli la vita... è incredibile. Ma è proprio così. Pur essendo vecchio e pur ringraziando ogni giorno il Grande Spirito per la saggezza di cui mi ha fatto dono, una mia leggerezza mi ha dannato forse per sempre.
Il vecchio prese a scuotere i pezzi di brace ed il fuoco dipinse di rosso e riscaldò i nostri volti. Alcuni anni fa, venni coinvolto, con alcuni fratelli rossi in un operazione militare legata ad aiuti umanitari. Almeno, questo è quello che ci dissero. La lingua dell’uomo bianco sa essere più biforcuta di quella di un serpente e il suo morso assai più velenoso. In realtà, ricuperammo per conto di alcune persone degli oggetti che avrebbero dovuto essere distrutti e che invece segnarono per sempre la nostra vita. Forse, con quel gesto, abbiamo condannato il mondo.
Fu allora che conobbi la mano destra del Diavolo. Il tono della sua voce si fece più duro.
La mano… Deglutii incredulo. Di cosa si tratta?
Di chi… vuoi dire? Ebbene sì. La mano destra del Diavolo è il nome che il popolo rosso, nella sua infinita saggezza, ha dato ad un uomo molto pericoloso. Tuttavia, egli è come un bambino e potrebbe essere ricondotto verso la giusta via. Come un’arma dipende dalla mano che la usa anch’egli è assai meno pericoloso di chi lo impugna. E’ il Diavolo l’essere da cui io debbo difendermi.
Chi? Replicai incredulo e sospettoso.
Il Diavolo è un uomo che sta cercando di realizzare un pro-getto perverso. Egli è già venuto a sapere della tua esistenza e sta pensando di dannarla cosi come ha fatto con la mia. Sei stato incauto, fratello del popolo rosso. Ti sei fidato di troppe persone. Gli occhi e le orecchie del Diavolo sono ovunque e l’uomo saggio deve essere cauto ed attento nella sua ricerca della verità.
Stai parlando in modo sempre più enigmatico affermai spa-zientito. Vorrei tu fossi più chiaro.
Sarò sempre al tuo fianco. Seguirò ogni tua mossa. Non avrai bisogno di chiamarmi per chiedere il mio aiuto perché vedrò tutto ciò che i tuoi occhi vedranno, sentirò tutto ciò che le tue orecchie sentiranno e anche di più… Il vecchio parlò con tono fiero e maestoso. La sua fiducia nelle proprie capacità doveva essere infinita.
Ebbene il mio compito oggi è quello di metterti in guardia. Presto, molto presto, gli amici si trasformeranno in nemici e chi voleva uccidere me cercherà di fermarti ad ogni costo. Esclamò sibillinamente il pellerossa alzandosi in piedi.
Fermarmi dal fare cosa e perché mi chiami giaguaro? Gridai sempre più spazientito.
Come vedi io non sono morto giaguaro, ma per il mondo dei visi pallidi non esisto più. Ho fatto perdere le mie tracce. Mi sono rifugiato in un luogo ben nascosto dove il mio potere è molto forte, dove le grandi rocce deposte dagli antichi sal-vaguardano la mia incolumità, posti come Carnac, Msoura, il lago Turkana o Uluru. Il segreto di questi posti è noto solo agli antichi e a tutti coloro che hanno avuto un contatto con essi. Mormorò il vecchio impugnando la lancia, invitandomi a rialzarmi ed a seguirlo.
Presto toccherà anche a te far perdere le tue tracce. Ricorda il mio consiglio. Fai sparire ogni indizio che possa portare a te. Renditi invisibile agli occhi del mondo dei bianchi. Solo così potrai difenderti dall'attacco degli altri predatori. Quando ciò accadrà comincerai a capire perché il tuo totem è legato a quello del giaguaro e ricorda ancora che, d'ora in poi, ogni volta che vedrai un lupo sul tuo cammino sarà il segno che io vorrò parlarti o darti qualche suggerimento. Il mio tempo è scaduto, Nathan...
Nathan, Nathan, Nathan... sveglia è ora di alzarsi. La voce tenue e melodiosa di Madeleine mi stava riportando alla realtà.
Bofonchiai qualcosa di incomprensibile persino a me stesso. Aprii gli occhi. Mi trovavo sdraiato nel mio letto, Maddie in-dossava la vestaglia della notte e mi stava aiutando a rialzarmi. In un altro momento, vederla vestita così avrebbe risvegliato dei pensieri sensuali. In quegli istanti, invece, riuscii solo ad abbracciarla e a stringerla a me come se non avessi potuto vederla mai più. E forse era proprio così.
Che ti prende, Natty? Qualcosa non va? Esclamò Maddie preoccupata.
Senza risponderle allentai la presa, la baciai e mi rialzai faticosamente.
Quella notte fu parecchio tormentata. Ogniqualvolta mi addormentavo mi risvegliavo dopo nemmeno un'ora, madido di sudore ed intirizzito per il freddo. Il mattino seguente, Maddie sostenne anche che, durante il sonno, pronunciai più volte la parola megaliti ed altri termini invece incomprensibili, legati forse a lingue o dialetti stranieri. Di tutto ciò io non ricordavo proprio nulla. Sapevo solo che al quarto tentativo riuscii ad addormentarmi fino a mattina. Sognai.
Non mi capitava spesso di sognare, né di avere un sonno tormentato, perciò non faticai molto ad annotare ogni partico-lare della mia attività onirica e già questo poteva essere motivo per rammentare quella notte. Eppure c’era anche dell’altro. Nel mio sogno le immagini che mi si presentavano davanti avevano forme sempre mutevoli, pur se riconoscibili.
Ricordavo con precisione di trovarmi lanciato in una folle corsa sul manto erboso di un vasto altopiano nella penombra delle prime ore della sera. La luce appariva e scompariva velocemente, il panorama cambiava forma improvvisamente e faceva sembrare tutto ciò che pensavo di vedere come una folle danza. Io corsi incurante della fatica e dei dolori muscolari finché ciò che era, con ogni probabilità, un altopiano su-damericano comparabile a quello di una cartolina turistica si trasformò in qualcos’altro.
Anche per effetto del tramonto inoltrato, il paesaggio attorno a me iniziò a cambiare ed io ad avere sempre meno punti di ri-ferimento. Non appena scorsi, in lontananza, degli alberi di una foresta secolare, leggermente rischiarati da riflessi di un ba-gliore rossastro, mi fermai per riposare alcuni istanti vicino ad un albero. Alzai la mano sinistra e la appoggiai sulla spessa corteccia che avvolgeva, come in un appassionante abbraccio, il suo tronco.
Mi guardai intorno e notai da dove aveva origine il colore rosso che si rifletteva in gocce d’acqua che il fogliame aveva trattenuto da una recente pioggia. Aggrottai le sopracciglia. Misi a fuoco l’immagine. Un piccolo barlume di luce, in lontananza, si faceva strada tra le foglie ed i rami come un dardo scoccato da un arco fende l'aria fino a raggiungere il suo bersaglio. Mi invitava a raggiungerlo. Curiosità o istinto che fosse a spingermi, mi avviai in quella direzione.
Una voce serena e suadente invocò il mio nome. Nathan. Oh, Nathan. Finalmente sono riuscito a raggiungerti. Vieni, vieni da me disse lo sconosciuto con voce commossa. Senza saperne il motivo seguii la luce e la voce sino a raggiungere una piccola radura, appena rischiarata e scaldata dal tepore di un fuoco di bivacco. Seduto, accosciato davanti ad esso vi era un uomo quasi completamente coperto dalla pelliccia di un lu-po, tanto che non riuscii a distinguerne i lineamenti del viso.
Sul suo collo penzolava una piccola sacca di cuoio con ap-puntata la pelle di un piccolo animale dei boschi, credo si trattasse di un roditore, e un rostro, forse il becco di un’aquila, che spuntava come un corno dal lato sinistro della testa di lupo. Il fisico era esile e l'altezza modesta. In terra alla sua destra, a portata di mano, vi era una lancia algonchina ornata di seta, cuoio e piume variopinte. Alla sua sinistra, invece, uno strano tamburo, anch’esso ornato di piume e pitture varie. Al centro di esso, sopra il cuoio di cui era formato, vi erano ciottoli e piccole ossa.
Siediti, giaguaro... disse alzando lo sguardo e fu solo allora che notai il suo viso e il mio vestito. L'uomo aveva un piccolo viso rotondo, capelli corti e neri, due occhi a mandorla e dei lineamenti che ricordavano quelli di un pellerossa o di un asiatico. Sforzandomi di vederne meglio la figura, notai che si trattava del vecchio che per le strade di Chicago mi avvertì che John Littletrees non era morto. Maggiore stupore provai nel vedere che dalla mia fronte, a risalire il capo per poi scendere fino oltre ai fianchi, vi era una pelle di giaguaro e a tracolla la mia splendente katana con impugnatura raffigurante un cobra.
Chi sei? chiesi rivolgendomi verso l'uomo con la pelle di lupo.
Non lo hai ancora indovinato, giaguaro? Rispose enig-matico il vecchio scuotendo la testa.
John Littletrees… risposi quasi senza pensarci.
Bene. Io sono lui e come vedi non sono morto. Non ti far trarre in inganno dal fatto che mi stai vedendo in sogno. Mor-morò il vecchio.
John Littletrees, sciamano lupo, fiero ed instancabile spirito guida del popolo Algonquin è vivo e vegeto. Quella notte morì un altro fratello rosso, il quale venne scambiato per me. Disse con la voce rotta per la commozione.
Perché? Chi ti voleva morto? Incalzai.
Sei veloce e freddo come l'animale di cui porti il nome, Nathan. Replicò il pellerossa con gli occhi illuminati.
Si, sembra difficile a credersi. Che un vecchio e pacifico uomo come me possa avere un nemico che voglia strappargli la vita... è incredibile. Ma è proprio così. Pur essendo vecchio e pur ringraziando ogni giorno il Grande Spirito per la saggezza di cui mi ha fatto dono, una mia leggerezza mi ha dannato forse per sempre.
Il vecchio prese a scuotere i pezzi di brace ed il fuoco dipinse di rosso e riscaldò i nostri volti. Alcuni anni fa, venni coinvolto, con alcuni fratelli rossi in un operazione militare legata ad aiuti umanitari. Almeno, questo è quello che ci dissero. La lingua dell’uomo bianco sa essere più biforcuta di quella di un serpente e il suo morso assai più velenoso. In realtà, ricuperammo per conto di alcune persone degli oggetti che avrebbero dovuto essere distrutti e che invece segnarono per sempre la nostra vita. Forse, con quel gesto, abbiamo condannato il mondo.
Fu allora che conobbi la mano destra del Diavolo. Il tono della sua voce si fece più duro.
La mano… Deglutii incredulo. Di cosa si tratta?
Di chi… vuoi dire? Ebbene sì. La mano destra del Diavolo è il nome che il popolo rosso, nella sua infinita saggezza, ha dato ad un uomo molto pericoloso. Tuttavia, egli è come un bambino e potrebbe essere ricondotto verso la giusta via. Come un’arma dipende dalla mano che la usa anch’egli è assai meno pericoloso di chi lo impugna. E’ il Diavolo l’essere da cui io debbo difendermi.
Chi? Replicai incredulo e sospettoso.
Il Diavolo è un uomo che sta cercando di realizzare un pro-getto perverso. Egli è già venuto a sapere della tua esistenza e sta pensando di dannarla cosi come ha fatto con la mia. Sei stato incauto, fratello del popolo rosso. Ti sei fidato di troppe persone. Gli occhi e le orecchie del Diavolo sono ovunque e l’uomo saggio deve essere cauto ed attento nella sua ricerca della verità.
Stai parlando in modo sempre più enigmatico affermai spa-zientito. Vorrei tu fossi più chiaro.
Sarò sempre al tuo fianco. Seguirò ogni tua mossa. Non avrai bisogno di chiamarmi per chiedere il mio aiuto perché vedrò tutto ciò che i tuoi occhi vedranno, sentirò tutto ciò che le tue orecchie sentiranno e anche di più… Il vecchio parlò con tono fiero e maestoso. La sua fiducia nelle proprie capacità doveva essere infinita.
Ebbene il mio compito oggi è quello di metterti in guardia. Presto, molto presto, gli amici si trasformeranno in nemici e chi voleva uccidere me cercherà di fermarti ad ogni costo. Esclamò sibillinamente il pellerossa alzandosi in piedi.
Fermarmi dal fare cosa e perché mi chiami giaguaro? Gridai sempre più spazientito.
Come vedi io non sono morto giaguaro, ma per il mondo dei visi pallidi non esisto più. Ho fatto perdere le mie tracce. Mi sono rifugiato in un luogo ben nascosto dove il mio potere è molto forte, dove le grandi rocce deposte dagli antichi sal-vaguardano la mia incolumità, posti come Carnac, Msoura, il lago Turkana o Uluru. Il segreto di questi posti è noto solo agli antichi e a tutti coloro che hanno avuto un contatto con essi. Mormorò il vecchio impugnando la lancia, invitandomi a rialzarmi ed a seguirlo.
Presto toccherà anche a te far perdere le tue tracce. Ricorda il mio consiglio. Fai sparire ogni indizio che possa portare a te. Renditi invisibile agli occhi del mondo dei bianchi. Solo così potrai difenderti dall'attacco degli altri predatori. Quando ciò accadrà comincerai a capire perché il tuo totem è legato a quello del giaguaro e ricorda ancora che, d'ora in poi, ogni volta che vedrai un lupo sul tuo cammino sarà il segno che io vorrò parlarti o darti qualche suggerimento. Il mio tempo è scaduto, Nathan...
Nathan, Nathan, Nathan... sveglia è ora di alzarsi. La voce tenue e melodiosa di Madeleine mi stava riportando alla realtà.
Bofonchiai qualcosa di incomprensibile persino a me stesso. Aprii gli occhi. Mi trovavo sdraiato nel mio letto, Maddie in-dossava la vestaglia della notte e mi stava aiutando a rialzarmi. In un altro momento, vederla vestita così avrebbe risvegliato dei pensieri sensuali. In quegli istanti, invece, riuscii solo ad abbracciarla e a stringerla a me come se non avessi potuto vederla mai più. E forse era proprio così.
Che ti prende, Natty? Qualcosa non va? Esclamò Maddie preoccupata.
Senza risponderle allentai la presa, la baciai e mi rialzai faticosamente.