FANTASMAGORIE DI SOGNI E DI VITA
L’adultera romana
Sono qui, sola, seduta sulla gradinata di Trinità dei Monti, in uno splendido pomeriggio di fine ottobre.
Ricordi, amore mio di ieri e di oggi, la nostra Trinità dei Monti?
Oh quanti, quanti baci ci siamo dati, seduti su queste scale, mentre attorno a noi passavano i turisti, altri innamorati, e gruppi di studenti accompagnavano lo schioccare dei nostri baci con allegre note di chitarra.
Forse tu, amore, hai dimenticato tutto questo, così come hai dimenticato me: ma io non l’ho dimenticato.
Ricordo il nostro primo appuntamento, davanti alla basilica di San Paolo, perché, come dicesti tu, doveva avvenire lontano da sguardi indiscreti. Che emozione, amore mio, in quel tiepido pomeriggio di ottobre!
I tuoi sguardi che mi fissavano pieni di desiderio, le tue mani calde che stringevano forte le mie, le tue labbra audaci che mi rubarono il primo trepidante bacio…
Io non ho dimenticato nulla, amore mio di ieri e di oggi, ma tu, invece, hai dimenticato tutto di me.
Ricordi la prima volta che mi facesti tua? Erano passati tre giorni esatti dal nostro primo incontro.
Venni, come tu volesti, alla pensione Nettuno, a Civitavecchia, dove avevi affittato una stanza.
Mio marito ignorava ogni cosa, e io bruciavo di voglia al solo pensiero di tradirlo, di offrirmi a te, di essere tua e di tornare poi a casa, nel suo letto, con l’odore maschio di te ancora appiccicato su tutto il corpo.
Ero pazza di te, folle di te, assetata di te, esattamente come lo sono oggi, e feci tutto, tutto quello che mi chiedesti di fare.
Appena entrati nella stanza, mi gettasti sul pavimento, rammenti? Mi strappasti i vestiti da dosso, baciandomi così forte da non lasciarmi respirare, e mi prendesti lì, sul tappeto, facendomi tua più volte, irrorandomi, aspergendomi tutta di te, finché, travolta da tutta quella foga così appassionata… persi i sensi…
E fu bellissimo e travolgente, e io mi sentii tua come non mai!
Ma quello fu solo l’inizio, amore mio che non mi ami più, poi…poi venne il resto…
Giorni di fuoco, vero, amore mio? Giorni roventi, giorni impudici, giorni di sesso che né io né te avevamo mai vissuto…
Furono giorni in cui i nostri baci sembravano lava di vulcano, in cui le tue mani crepitanti di desiderio percorrevano ogni curva del mio corpo, in cui i tuoi occhi lampeggiavano avvampando in un incendio di lussuria senza fine!
Quante volte mi facesti tua? Quante volte mi possedesti? Perdemmo presto il conto, vero, amore mio spietato e ingrato? Ho tradito mio marito senza ritegno, per darmi a te, tutta a te, per essere presa e fatta tua, perché io ero tua, sono tua…
Lo facemmo: oh, quante volte, ingordi e sfrenati, lo facemmo!
Ed ogni volta, toccammo il cielo con un dito!
Roma, Roma, Roma intera era lo scenario di questa nostra passione travolgente che tu, illuso, volevi a tutti i costi rimanesse nascosta!
Ed è restata nascosta: a tutti, perché io sono sempre stata discreta ed ho eseguito come un comando ogni tuo desiderio…
Eppure, nonostante tutto questo… mi hai abbandonata!
Vanamente ho tentato di riaccendere in te il desiderio di me: tu mi hai gettata fuori dal tuo cuore, così come si butta via un vecchio giocattolo che non ci diverte più, un vestito sbiadito che non ci intriga più, un vecchio amore consumato… che non ci appassiona più!
Ma quando racconto alle mie amiche dei nostri incontri, dei nostri appuntamenti, dei nostri amplessi, le sento fremere d’invidia, sento che assaporano con l’acquolina in bocca i dettagliati resoconti dei nostri magici momenti di sesso sfrenato… E molte di loro vorrebbero essere me, per avere vissuto quei momenti, per avere provato quelle emozioni, quelle sensazioni che ancora porto cucite sulla mia pelle.
Pensa, me, proprio me, che ora sono uno straccio, un idolo rotolato nel fango, un pallido simulacro di quella Venere che dicevi che io ero!
Nei giardini di Villa Borghese, ogni albero, ogni aiuola, ogni frasca, ogni fontana, conoscono a menadito il ritmo dei nostri sospiri, l’ansimare delle nostre bocche, lo schioccare delle nostre lingue! Quante volte gl’ignari passeggiatori e gli accaldati turisti ci sorpresero mentre tu mi succhiavi il seno o mentre le tue mani lascive percorrevano frenetiche le mie cosce senza calze: eppure, di nulla ci importava, di nulla avevamo timore, di nulla sospettavamo… C’eravamo soltanto noi, noi e la nostra folle e smisurata passione!
E quella notte in cui ci bagnammo, incoscienti, nella Fontana di Trevi? Mi sembrava di essere sul set de La dolce vita. La mia minigonna e la mia maglietta, inzuppate d’acqua, mettevano in rilievo tutte le mie forme, e tu non resistetti: mi venisti in mano, copiosamente, mentre la tua lingua perforava la mia gola e le tue dita stringevano a te le mie natiche con la stessa forza dei tentacoli di una piovra eccitata.
E la lettera d’amore che mi leggesti davanti alla Bocca della Verità? Ricordi, amore mio perduto, come piangevo in silenzio sentendoti pronunciare quelle tue frasi altisonanti che mi descrivevano come una dea scesa in Terra? No, certo tu non rimembri più nulla di tutto questo, ma io non ho dimenticato: ricordo tutto, nei minimi dettagli, e soffro, soffro, soffro perché so che tutto questo appartiene ad un passato che non ritornerà mai più.
Così come non ritorneranno mai più le nostre gite in barca sul Tevere in primavera, le nostre scampagnate ai Castelli Romani, le nostre visite mano nella mano ai Musei Capitolini, le nostre serate passate a baciarci e a coccolarci sotto gli alberi davanti alle Terme di Caracalla, tra le viuzze antiche di Trastevere, sotto il Colonnato del Bernini o davanti al Colosseo: sì, non torneranno mai più, perché il nostro amore non c’è più da quando tu, che dicevi di amarmi più della tua stessa vita, ti sei stancato di me!
Sono qui, sola, seduta sulla gradinata di Trinità dei Monti, in uno splendido pomeriggio di fine ottobre.
Ricordi, amore mio di ieri e di oggi, la nostra Trinità dei Monti?
Oh quanti, quanti baci ci siamo dati, seduti su queste scale, mentre attorno a noi passavano i turisti, altri innamorati, e gruppi di studenti accompagnavano lo schioccare dei nostri baci con allegre note di chitarra.
Forse tu, amore, hai dimenticato tutto questo, così come hai dimenticato me: ma io non l’ho dimenticato.
Ricordo il nostro primo appuntamento, davanti alla basilica di San Paolo, perché, come dicesti tu, doveva avvenire lontano da sguardi indiscreti. Che emozione, amore mio, in quel tiepido pomeriggio di ottobre!
I tuoi sguardi che mi fissavano pieni di desiderio, le tue mani calde che stringevano forte le mie, le tue labbra audaci che mi rubarono il primo trepidante bacio…
Io non ho dimenticato nulla, amore mio di ieri e di oggi, ma tu, invece, hai dimenticato tutto di me.
Ricordi la prima volta che mi facesti tua? Erano passati tre giorni esatti dal nostro primo incontro.
Venni, come tu volesti, alla pensione Nettuno, a Civitavecchia, dove avevi affittato una stanza.
Mio marito ignorava ogni cosa, e io bruciavo di voglia al solo pensiero di tradirlo, di offrirmi a te, di essere tua e di tornare poi a casa, nel suo letto, con l’odore maschio di te ancora appiccicato su tutto il corpo.
Ero pazza di te, folle di te, assetata di te, esattamente come lo sono oggi, e feci tutto, tutto quello che mi chiedesti di fare.
Appena entrati nella stanza, mi gettasti sul pavimento, rammenti? Mi strappasti i vestiti da dosso, baciandomi così forte da non lasciarmi respirare, e mi prendesti lì, sul tappeto, facendomi tua più volte, irrorandomi, aspergendomi tutta di te, finché, travolta da tutta quella foga così appassionata… persi i sensi…
E fu bellissimo e travolgente, e io mi sentii tua come non mai!
Ma quello fu solo l’inizio, amore mio che non mi ami più, poi…poi venne il resto…
Giorni di fuoco, vero, amore mio? Giorni roventi, giorni impudici, giorni di sesso che né io né te avevamo mai vissuto…
Furono giorni in cui i nostri baci sembravano lava di vulcano, in cui le tue mani crepitanti di desiderio percorrevano ogni curva del mio corpo, in cui i tuoi occhi lampeggiavano avvampando in un incendio di lussuria senza fine!
Quante volte mi facesti tua? Quante volte mi possedesti? Perdemmo presto il conto, vero, amore mio spietato e ingrato? Ho tradito mio marito senza ritegno, per darmi a te, tutta a te, per essere presa e fatta tua, perché io ero tua, sono tua…
Lo facemmo: oh, quante volte, ingordi e sfrenati, lo facemmo!
Ed ogni volta, toccammo il cielo con un dito!
Roma, Roma, Roma intera era lo scenario di questa nostra passione travolgente che tu, illuso, volevi a tutti i costi rimanesse nascosta!
Ed è restata nascosta: a tutti, perché io sono sempre stata discreta ed ho eseguito come un comando ogni tuo desiderio…
Eppure, nonostante tutto questo… mi hai abbandonata!
Vanamente ho tentato di riaccendere in te il desiderio di me: tu mi hai gettata fuori dal tuo cuore, così come si butta via un vecchio giocattolo che non ci diverte più, un vestito sbiadito che non ci intriga più, un vecchio amore consumato… che non ci appassiona più!
Ma quando racconto alle mie amiche dei nostri incontri, dei nostri appuntamenti, dei nostri amplessi, le sento fremere d’invidia, sento che assaporano con l’acquolina in bocca i dettagliati resoconti dei nostri magici momenti di sesso sfrenato… E molte di loro vorrebbero essere me, per avere vissuto quei momenti, per avere provato quelle emozioni, quelle sensazioni che ancora porto cucite sulla mia pelle.
Pensa, me, proprio me, che ora sono uno straccio, un idolo rotolato nel fango, un pallido simulacro di quella Venere che dicevi che io ero!
Nei giardini di Villa Borghese, ogni albero, ogni aiuola, ogni frasca, ogni fontana, conoscono a menadito il ritmo dei nostri sospiri, l’ansimare delle nostre bocche, lo schioccare delle nostre lingue! Quante volte gl’ignari passeggiatori e gli accaldati turisti ci sorpresero mentre tu mi succhiavi il seno o mentre le tue mani lascive percorrevano frenetiche le mie cosce senza calze: eppure, di nulla ci importava, di nulla avevamo timore, di nulla sospettavamo… C’eravamo soltanto noi, noi e la nostra folle e smisurata passione!
E quella notte in cui ci bagnammo, incoscienti, nella Fontana di Trevi? Mi sembrava di essere sul set de La dolce vita. La mia minigonna e la mia maglietta, inzuppate d’acqua, mettevano in rilievo tutte le mie forme, e tu non resistetti: mi venisti in mano, copiosamente, mentre la tua lingua perforava la mia gola e le tue dita stringevano a te le mie natiche con la stessa forza dei tentacoli di una piovra eccitata.
E la lettera d’amore che mi leggesti davanti alla Bocca della Verità? Ricordi, amore mio perduto, come piangevo in silenzio sentendoti pronunciare quelle tue frasi altisonanti che mi descrivevano come una dea scesa in Terra? No, certo tu non rimembri più nulla di tutto questo, ma io non ho dimenticato: ricordo tutto, nei minimi dettagli, e soffro, soffro, soffro perché so che tutto questo appartiene ad un passato che non ritornerà mai più.
Così come non ritorneranno mai più le nostre gite in barca sul Tevere in primavera, le nostre scampagnate ai Castelli Romani, le nostre visite mano nella mano ai Musei Capitolini, le nostre serate passate a baciarci e a coccolarci sotto gli alberi davanti alle Terme di Caracalla, tra le viuzze antiche di Trastevere, sotto il Colonnato del Bernini o davanti al Colosseo: sì, non torneranno mai più, perché il nostro amore non c’è più da quando tu, che dicevi di amarmi più della tua stessa vita, ti sei stancato di me!